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Madi – „Il mai visto che c’?”
Írta: Angelo Calabrese
Negli anni di fervore e senso ideologico cominciai ad essere pi? attento all’arte che, depurandosi degli elementi referenziali delle cose, diventava misura di se stessa con spiccata volont? di comunicazione.
La vastit? della ricerca era sorprendentemente variegata: dalle sollecitazioni psicosensorie allo spettacolo ottico, dai ritmi flessuosi alte vibrazioni crociate, dall?attrazione spaziodinamica allo sconvolgimento fenomenico, per cui, mentre il fronte comune appariva quello del dibattito aperto, all’evidenza critica s’intercettavano ruoli e rapporti „ostinati” a prendere le distanze. Prendevano cos? le loro guide carismatiche, e le evidenze identificative, quei movimenti che tanto promettevano: si parcellizzavano in ruoli; i protagonisti, specie se non pi? anonimi, badavano accortamente a gestire in contesti rassicuranti fama e mercato in abbinata.
Chi ha seguito, dagli ultimi anni Cinquanta alte „stremate” provocazioni degli avanzati anni Settanta, le vicende dei movimenti d’arte vocazionati all’internazionalit?, riconosce le difficolt? in cui si sono dibattuti gli operatori estetici che dovevano verificarsi nel divenire delta realt?, fronteggiando contesti contraddittori di comunicazione, specialisti, pubblico e tradimento istituzionalizzato. E? gravissima colpa, anatema, reato senza assoluzione, proporre ricerca, non prodotti, in processi culturali comunque osteggiati, specie se rivolti all’organizzazione estetica delto spazio dell’uomo, ad una rifondazione del ruoto dell’artista, alta possibilit? dell’utilizzo degli strumenti di comunicazione di massa: si vieta con intrasigenza l’accesso proprio a chi ? depositario di tecniche di comunicazione.
Reputo indispensabile questa premessa dovendo parlare di Madi e delta sua vitalit? aperta alle istanze del futuro. Sono note e riconosciute paternit?, ispirazioni fondative, adesioni autorevoli, fedelt? vissute in gioiosa partecipazione, fughe (i defilati sovente sconfessano), perché ribadirle?
Preferisco invece sottolineare l’importanza del movimento nell’ambito delta trasmissione della comunicazione estetica in cui ragione e libert? dell’invenzione si inverano, dando senso ad una costante emancipazione del lavoro artistico. E’ ardua impresa attivare in un’organicit? interdisciplinare ricerca, comunicazione e progettazione estetica: circa un quarto di secato fa, in pieno fervore di dibattito, la redazione napoletana de Learti ci ha visti tra quelli che avevano centrato il problema: ta societ? nei suoi processi di sviluppo destituiva l’artista, gli avrebbe contestato il ruolo, ne avrebbe fatto a meno.
La carica magica dell’opera pittorica deputata, nei secoli d’oro, a trasmettere comunicazione, anche quella voluta dalla forte committenza, dal potere, ? assente dalle proposte che fanno i conti con i mass-media, rapidi, ferocemente persuasivi, massificanti nelle imposizioni delle direttrici di conoscenza della realt? proposta e interpretata bella.
In tempi non sospetti, su Le Arti, Documenti Oggi, Art News, come sugli altri giornali e riviste, tra cui Service, il Gazzettino di Napoli, II Domani, abbiamo ripreso il discorso sulle informazioni massmediate che sommergono a valanga l’utenza appagata e frastornata.
Paradossalmente, intanto, proprio chi ? sottoposto alla ricezione di informazioni subite a livello psico-percettivo, inconscio, subliminale, rapportate ai frenetici ritmi della sopravvivenza quotidiana, ? pi? facile preda di „proposte” d’arte „rassicuranti” perché storicizzate nella modalit? plastica o pittorica.
I protagonisti del dinamismo insensato si appagano ancora di schemi statici, di vaghi racconti di epoche lontane, avulsie della realt?.
Il nuovo Millennio avverte ingigantita la distanza tra l’Arte e il suo diretto referente.
La comunicazione artistica del „post” tutto ? parcellizzata, unidirezionale, vittima del sistema di mercato, come ? pi? delle rivisitate avanguardie, degli schematismi introspettivi, ermetico-simbolici, allegorici, metaforici, individualistici ed ? sempre fuori dalla storia, dall’esserci, qui e ora.
Invece di parlare della Rassegna Madi in Villa Campolieto, dell’incontro di due momenti distanti nel tempo, ma entrambi radicati nel tributo alla razionalit? come prerogativa dell’umanit? in progresso, nel divenire innegabile, perché fuori dai condizionamenti superstiziosi e fanatici dell’uomo che spera di potersi finalmente proporre umano, mi accorgo di aver ritrovato delle parole di altri tempi.
Nulla ? cambiato dunque dal 1974, dalla XXVIIIa Biennale di Milano, dal volantino di Davide Boriani e Gabriele De Vecchi? E’ cambiato tutto per germinazioni sugli antichi ceppi ma con l’aggiunta di una smemorizza che accetta effetti senza verifica e con assoluto disinteresse per le cause. Al tempo del mio innamoramento per le astrazioni costruttiviste, concretiste e le cinevisualiste, si era in pieno clima di denuncia sociale: si specavano le dissacrazioni e le immediate riconsacrazioni, gli scontri di ben individuate ideologie, in funzione delle quali l’arte diventava iper-espresiva, micro-mega-macro – significante, coinvolgendo in rivisitazioni scienza e tecnologia.
Il campo d’indagine della struttura e della purezza della percezione offriva sollecitazioni pi? immediate, libere da limiti preesistenti per cui dove tutti si ostinavano a definire, c’era uno spazio che certificava dell’inesistenza della definizione.
Ecco una delle ragioni del mio innamoramento: vedevo esaltare le facolt? percettive, ero stimolato alla partecipazione fantastica, nella consapevolezza che l’opera non fosse estetica in sé, che il rigore scientifico attraversasse l’arte e che la fruizione avvertisse la creazione con le possibilit? di esercitarvi esplorazioni, ricerche, azioni personali per altri arricchimenti. Il senso di quelle modificazioni attive veniva intanto da una ineludibile verit?: la regola geometrica era li, da sempre e per sempre, come informazione formabile, come azione sul mio mutamento, nella percezione che non esigeva risposte, ma solo gioiosa possibilit? di ampliarsi.
Ecco tutto il fascino di una visualit? che, dantescamente, mutandom’io in me si travagliava: un vero e proprio processo che, innescato, mi consentiva di divenire in stupore visivo.
Intanto non potevo negare la portata fantastica di un dinamismo ragionato.
Con gli anni mi sono reso conto che l’arte Madi come convergenza di tanta creativit? attivata ad una scelta di ricerca continua ad innalzare un suggestivo monumento alla ragione umana.
Ho qualche difficolt? a riconoscere Madi, anche se mi ? parso di ritrovarle in rassegne connotate come tali le traumatiche rotture all’interno delle strutture, la geometria che si fa dramma, la topologie parascientifiche, i ritmi aritmici, la metarazionalit?, i contrappunti volumetrici proposti come esplorazioni di emozioni.
Preferirei pensare che modulatori visivi ed eventi interiorizzabili appartengono ad un territorio di frontiera tra Madi e innesti optical che meritano d’essere letti appunto come eventi inieriori. L’intuizione di Carmelo Arden Quin presuppone un pensiero che prende corpo: quel corpo rappresenta se stesso, non altro, perci? ? sempre nuovo, perci? il messaggio ? duraturo come ogni costante disposta al divenire. Non credo neppure che l’artista Madi fedele solo all’armonia e all’evento che egli innesca nell’avvenimento, reso evolutamente epifanico da un arch? geometrico, possa per qualche verso inserirsi nel novero degli artisti teorici: l’opera ? attiva percezione, non processi mentali.
Riconosco invece tra i pregi del Movimento la specularit? ad un pensiero irrefutabile: la vita ? regola e desiderio. Essere ? percepire; vuol dire non soggiacere all’indistinto, alvarsi da una caduta nell’indefinibile. Come la vita ? regola e desiderio, cos? l’opera, che fa evolvere la realt?, viene attraversata dal rigore scientifico e la percezione varia a seconda della fruizione per la quale ? attivata.
Il rigore geometrico e la possibilit? di esplorazione danno vita allo stupore visivo elementare, innocente, che fa percepire quel non-so-che, che ha felici richiami nelle strutture flessibili, nelle geometrie virtuali, che da sempre serbano, ab ovo, il seme razionale da cui si librano per farsi, poi, fantasia nell’uomo che si risolve appunto nel rigore razionale e nella libert? creativa.
E? importante il ruolo dell’artista nel cromoplasticismo inoggettivo come in ogni rinnovato annuncio poligonale. Egli sa che gli compete rendere percettibile l’evoluzione del reale.
La regola viene animata dalla fantasia che procede per ordinata specialit?: di qui il rigore in connubio con la liricit?, l’ordine che non contraddice alla libert?, il programma che incontra l’occasione, la ricerca che ha radici nella consuetudine e sa da quella trarre la sua evoluzione.
La frioritura di tanti interessi intorno al pensiero Madi, che procede a gonfie vele nella sua inesauribile ricerca e si propone coerentemente, con i suoi spazi in continuit? espansiva, come punto di riferimento nel Millennio che s’apre ambiguo ed eclettico, ? significativa.
Quest’ avventura d’arte che promuove razionalit? nel campo della percezione e raccorda la distanza tra condizione stimolatoria ed esperienza fenomenica, ci offre „il mai visto che c’?”.
Madi ? sintonico al nostro tempo di massima modificazione. Offre infatti l’opera di artisti, forti in progettualit?, agli spazi che necessitano di progetti per la continuit?. E’ un contributo da non sottovalutare: la vita, regola e desiderio meritano un interlocutore adeguato, gioioso, felicemente creativo: lunga vita al Madi.
(MADI art periodical No3)